L’eccidio dei 7 fratelli Govoni: un crimine coperto da amnistia

11 Maggio 1945

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    “Le condizioni sono ormai mature - ha affermato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – per sbarazzare il campo dalle divisioni e dalle incomprensioni a lungo protrattesi e per ritrovarci in una comune consapevolezza storica duratura e condivisa”.

    Trascorsi pochi giorni dalle contestate cerimonie del 25 Aprile ed appena inaugurati i festeggiamenti per il 150 anniversario dell’Unità d’Italia, colgo le parole del Presidente della Repubblica come auspicio di raccoglimento unitario di cui ha bisogno oggi il nostro Paese, al fine di uscire dalle contrapposizioni inerenti la “memoria storica” per accettare una comune assunzione di responsabilità.
    Oggi 11 Maggio, ricorre il 65 anniversario dalla morte dei sette fratelli Govoni. Pochi “conoscono” la storia di questi giovani, torturati picchiati ed uccisi, perché colpevoli di essere simpatizzanti, e solo due di loro, della Repubblica Sociale Italiana.
    Appena conclusi i combattimenti, nonostante le autorità legittime impartissero l’ordine di rispettare i nemici, in una casa colonica tra Pieve di Cento ed Argelato vennero uccise, dopo orribili sevizie, 17 persone; tra queste, i sette Govoni. Mai nessuna causa era stata portata nei loro confronti e tutti i fratelli erano rispettati in paese per la loro onestà.
    La strage dell’11 maggio 1945, venne preceduta da altri orrendi delitti, individuali e di massa, compiuti da una “banda” che scorazzava in quei “triangoli della morte”.
    Un eccidio non provocato da un’esplosione di pazza criminalità ma conseguenza di un piano freddamente e cinicamente attuato in base alle direttive emanate dal Partito con lo scopo di seminare dovunque il terrore per giungere più facilmente al controllo totale della situazione. I partigiani sapevano come il terrore si seminasse maggiormente con i fulminei prelevamenti, le silenziose soppressioni, il segreto assoluto sulla sorte toccata alle vittime e sul luogo della loro sepoltura. Il mistero alimenta il terrore. Poco importa se la più giovane dei sette, Ida (appena ventenne), fu prelevata mentre allattava il suo bambino di appena due mesi.
    La ferrea legge dell'omertà ha impedito che si potessero conoscere i nomi di quasi tutti coloro, e furono decine, che quel pomeriggio seviziarono i fratelli.
    “Vi fu, una specie di interrogatorio, a base di maltrattamenti e sevizie - così riporta la sentenza del tribunale (8 Febbraio 1953) - Nessuna delle vittime morì per colpi di arma da fuoco e quando molti anni dopo furono scoperti i corpi si accertò che quasi tutte le ossa degli uccisi presentavano fratture e incrinature. Le urla strazianti degli sventurati risuonarono per molte ore. Alle ore 23 del 11 Maggio tutto era finito.”
    Non è possibile descrivere l'orrendo calvario degli sventurati.
    Condannati gli autori di quei massacri (già al sicuro, oltrecortina), lo Stato Italiano concesse ai due genitori, dopo molte perplessità, una pensione di settemila lire: "mille lire per ogni figlio assassinato."

    Ricordo questi giovani ragazzi, non per revisionismo storico, ma semplicemente per “portare alla luce” una delle pagine buie dei lunghi mesi del ’45.
    La storia la “fanno” i vincitori, e guai ai vinti. Si onori, però, la memoria di chi è stato ucciso “senza aver fatto niente”, si ricordi chi ha ucciso per il motivo più abbietto: spargere il terrore in tempo di pace.
    Il presidente della Repubblica, ha sottolineato come parlando della Resistenza non si debbano “tacere i limiti e le ombre” del movimento partigiano.
    Ricordiamoci delle centinaia di migliaia di civili Italiani uccisi nelle vili imboscate, nelle stragi e nelle foibe dai nemici dell'Italia.
     
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